un affresco come pochi altri a Pistoia di mano dell’artista Sebastiano Vini
A Pistoia esistono posti che nemmeno ti immagineresti: sono luoghi nascosti, alle volte difficilmente accessibili e – per questi motivi – inaspettati. L’ ex oratorio di San Desiderio è uno di questi. Situato in Via Laudesi, in posizione leggermente decentrata e vicino alle mura cittadine, l’ex-oratorio risulta escluso dai consueti giri cittadini comprendenti il centro storico, pur trovandosi esso stesso in una zona di passaggio, dalla quale tutti noi spesso ci troviamo a transitare.

Eppure, quello che dall’esterno si presenta a una prima fugace occhiata come un edificio anonimo, che sembra non essere degno nemmeno di nota, nasconde in realtà un tesoro inestimabile, una testimonianza più unica che rara per dimensioni e bellezza: sulla parete di fondo dell’aula – dove in origine si trovava l’altare – infatti Sebastiano Vini, negli anni intorno al 1570, affrescò sull’intero muroLa crocifissione di Acacio e dei diecimila martiri sul monte Ararat. Il colpo d’occhio appena si entra è sorprendente, ed è impossibile non restare piacevolmente sorpresi di fronte a un’immagine del genere.
L’ex-oratorio quindi è solo in apparenza un luogo come tanti altri, anche per le sue origini storiche. La piccola chiesa, risalente addirittura alla fine degli anni Mille, faceva allora parte di un complesso conventuale di monache francescane ed era destinata al culto privato. Ma la vicenda di questo edificio è tutt’altro che tranquilla, visto che nel corso dei secoli ha attraversato diverse fasi, venendo utilizzato per soddisfare le più varie esigenze: nel Quattrocento è stato ospedale per i pellegrini, poi alla fine del Settecento – con la soppressione degli ordini monastici e con il vescovo riformista Scipione de’ Ricci – venne definitivamente soppresso e acquistato da privati fino a diventare, a inizio Novecento, un semplice magazzino di legname. Questo vissuto non ha certo favorito la conservazione ottimale dell’affresco di Sebastiano Vini che oggi purtroppo, a causa dei suoi trascorsi, avrebbe sicuramente bisogno di un intervento di restauro in modo da poterne recuperare a pieno la sua leggibilità. In ogni caso la superba opera dell’artista di Verona – ma naturalizzato pistoiese – è tuttavia nel suo complesso ancora godibile e osservandola non se ne perde la sua lettura d’insieme.
( foto tratta dal numero 12 della rivista Naturart, p. 12. Foto di Nicolò Begliomini)
Il nostro virtuoso pittore rappresenta qui un tema inconsueto e per questo molto interessante: la crocifissione del centurione Acacio e dei suoi soldati. La storia di questi personaggi non è risaputa e merita sicuramente di essere ricordata per la sua singolarità: Acacio venne mandato con novemila soldati dagli imperatori Adriano e Antonino Pio in Armenia, per combattere contro centomila nemici. Lo scarto quindi tra le due fazioni era notevole ma, contro ogni pronostico, Acacio e le sue truppe riuscirono a sconfiggere i ribelli forti della loro fede in Cristo, al quale si erano votati in seguito all’apparizione di un angelo durante il combattimento. Quando gli imperatori vennero a conoscenza della loro conversione, non tenendo conto della vittoria avuta sui nemici e senza rendere alcun merito alle loro truppe, li sottoposero a vari supplizi poiché non erano riusciti a far abiurare ad Acacio e ai suoi soldati la loro nuova fede. Ma, sempre assistiti dalla fede in Cristo, le torture non avevano esito: le pietre con cui venivano lapidati tornavano indietro verso chi le aveva tirate, i flagelli cadevano a terra, e così via dicendo. Vedendo questi miracoli altri mille uomini che si trovarono ad assistere a quelle scene si convertirono: per questo si parla di diecimila màrtiri. Non trovando altre soluzioni, impotenti di fronte alla forza della Fede, gli imperatori condussero infine i diecimila màrtiri sul Monte Ararat, dove vennero crocifissi.
L’artista rappresenta la storia componendo gli spazi in maniera armonica, lasciando isolato al centro della parete la scena del martirio, momento focale del racconto. Intorno, su piani ben variati si dispiegano gli altri episodi della storia, cosicché l’osservatore ha modo di ricostruire per gradi l’intera vicenda. Lo stile di Sebastiano Vini lascia spazio a una pittura fatta di dettagli e di colori tenui, usati sembra quasi per smorzare il carattere fortemente patetico di alcuni brani dell’affresco (basti vedere l’atteggiamento dei corpi accasciati sulle croci, o i gesti impetuosi dei personaggi in primo piano, impegnati a infliggere le atroci sofferenze ai poveri soldati).
Si tratta quindi di un’opera segnata da un accentuato carattere didascalico e devozionale, che attribuisce all’immagine sacra un’aura di profonda e sofferta religiosità, particolarmente concentrata sull’aspetto tragico e pietoso dell’accaduto. L’affresco dei Diecimila Màrtiri, in questa sua complessa e ispirata composizione, rappresenta l’opera più importante dell’artista, considerato tra i più rappresentativi sul panorama locale della seconda metà del Cinquecento, nonché un tesoro inestimabile del patrimonio artistico della nostra città che, come tale, sarà sempre buona abitudine conservare e valorizzare.
Clara Begliomini