Palazzo Fabroni e l’arte contemporanea a Pistoia – prima parte

Palazzo Fabroni a Pistoia, oggi rinomato Centro di Arti Visive Contemporanee, eccellente testimonianza della florida arte  contemporanea pistoiese del passato e del presente, è in realtà un edificio dalle antiche origini, con alle spalle una storia complessa e travagliata.

La facciata di Palazzo Fabroni

 Palazzo Fabroni, la storia

Il nucleo più antico del palazzo – che si attesta di fronte alla Pieve romanica di Sant’Andrea (famosa per il pulpito di Giovanni Pisano, tappa imprescindibile di qualunque itinerario turistico in città) – appartenuto intorno alla metà del Trecento alla nobile famiglia pistoiese dei Dondori, era costituito da una tipica casa-torre come tante ce n’erano a Pistoia in quel periodo.
All’inizio del XVII secolo i Fabroni, già proprietari di altre case nella zona, acquistarono la dimora dei Dondori e alla metà del secolo successivo, per volere di Atto Fabroni, tutti i nuclei abitativi in origine separati vennero uniti con un capillare intervento di ristrutturazione, che conferì al palazzo l’aspetto attuale. La nuova facciata elegante e scenografica, caratterizzata dal suo tipico andamento curvilineo che segue l’andamento della strada, rappresenta tutt’oggi un simbolo della città.

Il palazzo divenne poi proprietà del Comune nel 1861; da allora, venne destinato nel corso degli anni ad molteplici usi e, in funzione di essi, venne variamente ristrutturato e trasformato nella distribuzione interna degli spazi. In epoca recente si è reso necessario un lungo intervento di restauro, al quale va il merito di aver liberato la struttura architettonica dalle modifiche subite tra Otto e Novecento, riportando alla luce anche alcuni elementi preesistenti delle case-torri trecentesche, delle quali alcune parti sono visibili nel salone del piano nobile.

Palazzo Fabroni e l’arte contemporanea a Pistoia

Al termine degli interventi di recupero, intorno agli anni Novanta, l’Amministrazione Comunale decide saggiamente di destinare le stanze del primo e secondo piano a “contenitori” per mostre di arte contemporanea.

L’ingresso da Via Santa al Palazzo, dopo gli ultimi lavori di restauro 

Tra il 1990 e il 2002 si assiste quindi a una stagione di grande fermento culturale e artistico senza eguali in città, che porta a Palazzo Fabroni mostre monografiche dedicate ad alcuni dei maggiori protagonisti dell’arte italiana del Novecento, ormai consacrati dalla critica. Ad aprire le danze fu, proprio nel 1990, la mostra dedicata al pistoiese Fernando Melani e, tra le altre, seguirono a ruota quella di Jannis Kounellis e Luciano Fabro. Questa assidua programmazione, prolungatasi negli anni, ha fatto sì che Palazzo Fabroni si confermasse come luogo espositivo per eccellenza nell’intera area metropolitana.

In anni ancora più recenti (dal 2004 al 2007) l’edificio è stato chiuso per altri importanti lavori di ristrutturazione. Con la riapertura l’obiettivo è stato quello di fare di Palazzo Fabroni un luogo di riferimento permanente nel panorama culturale della città, tralasciando la sua funzione di semplice luogo espositivo: si inizia a parlare di un museo quindi, capace di proporre occasioni di conoscenza e approfondimento dell’arte contemporanea, che tanto permea il patrimonio artistico pistoiese.

Una delle sale del museo 

È per questo motivo che dal 2009 Palazzo Fabroni aderisce all’Associazione dei Musei di Arte Contemporanea Italiani (AMACI), consacrandosi una volta per tutte come museo, grazie anche all’allestimento della ricca collezione permanente visitabile al piano nobile del palazzo (lasciando le sale del secondo piano alle mostre temporanee, ancora oggi frequenti e molto interessanti). Inaugurata nel 1997 e costituita da fondi civici originari, acquisizioni e donazioni, la raccolta consente un esauriente itinerario attraverso il panorama artistico dell’arte contemporanea dal dopoguerra fino ai giorni nostri. Un patrimonio ricchissimo e molto importante per la città, che vale la pena di conoscere in maniera approfondita, con un nuovo articolo presto in uscita.

 

Clara Begliomini

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